Per la malattia di Huntington una
terapia dalla delezione di SUMO1
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 05 febbraio
2022.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La malattia di Huntington è un disturbo
ipercinetico del movimento ereditato come un carattere autosomico dominante
e dovuto alla mutazione di un gene altamente conservato sul braccio corto del
cromosoma 4 codificante la proteina citosolica e nucleare huntingtina; detta
tradizionalmente corea di Huntington per la sua caratterizzazione
clinica, la malattia fa parte dei nove disturbi neurodegenerativi ereditari
classificati quali malattie da espansione del tratto di triplette CAG ripetute
o malattie da ripetizione di CAG-poliglutammina (poliQ): 1) malattia di
Huntington, 2) atrofia muscolare spinale e bulbare (SBMA)[1], 3)
atrofia dentato-rubro-pallido-luysiana (DRPLA); e sei forme di atassia
spino-cerebellare: 4) SCA1, 5) SCA2, 6) SCA3, 7) SCA6, 8) SCA7, 9) SCA17.
Più avanti si fornirà un’introduzione alla neuropatologia
di questo disturbo, qui si ricorda l’importanza per l’evoluzione degenerativa –
che inizialmente danneggia i nuclei striati della base encefalica e la
corteccia cerebrale, e poi, col progredire della malattia, interessa in modo
diffuso l’encefalo – delle modificazioni post-traduzionali, quali fosforilazione[2], acetilazione
e sumoilazione. In particolare, la sumoilazione, ossia ciò che
avviene quando una parte di un piccolo modificatore simile all’ubiquitina (SUMO
da small ubiquitin-like modifier)
si lega covalentemente a un residuo di lisina in una proteina bersaglio, è
considerata da tempo un processo rilevante per questa patologia: già nel 2004
Steffan e colleghi hanno registrato la co-localizzazione di SUMO e corpi
inclusi nella malattia di Huntington, in SCA3 e DRLPA. Il processo di sumoilazione
si ritiene possa regolare la tossicità delle proteine associate alle malattie
neurodegenerative.
L’huntingtina mutata nella malattia di
Huntington porta alla degenerazione delle cellule nervose e la sumoilazione
rende la proteina mutata più solubile e più tossica per i
neuroni.
Vari studi hanno dimostrato che le modificazioni di
SUMO1 (small ubiquitin-like modifier-1) dell’huntingtina
con espansioni CAG poliQ (mHtt) promuove la tossicità cellulare, ma la funzione
in vivo e il ruolo di SUMO1 nella patogenesi della malattia di
Huntington non sono stati finora chiariti.
Uri Nimrod Ramirez-Jarquin e colleghi, studiando gli
effetti della delezione di SUMO1 in modelli sperimentali della malattia di
Huntington, hanno ottenuto risultati rilevanti, di sicuro interesse in questo
campo di studi.
(Ramirez-Jarquin
U. N., Deletion of
SUMO1 attenuates behavioral and anatomical deficits by regulating autophagic
activities in Huntington disease. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 119 (5): e2107187119, February 1,
2022).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department
of Neuroscience, The Scripps Research
Institutes, Jupiter, Florida (USA).
Un cenno storico sul medico dal quale la malattia
trae l’eponimo ci aiuta a renderci conto di quanto lungo e difficile sia stato
e sia ancora il cammino per giungere a comprendere la patologia alla base di questa
malattia, compiutamente descritta per la prima volta 150 anni fa.
George Huntington, nato a Long Island nel 1850, era
ancora adolescente quando, accompagnando nelle visite suo padre – medico di
fama come lo era stato suo nonno Abel, anche senatore dello stato di New York –
vide in due donne, madre e figlia, movimenti involontari aritmici a scatti, che
lo colpirono molto. Il padre gli spiegò che non era in grado di diagnosticare l’origine
di quei sintomi e che erano probabilmente dovuti a una malattia ancora
sconosciuta. Compiuti i diciotto anni, George si iscrisse alla facoltà di
medicina della Columbia University e si laureò tre anni dopo con una tesi sugli
effetti dell’oppio, ma durante tutto quel periodo aveva continuato a pensare a
quelle donne che improvvisamente erano disturbate da movimenti indesiderati,
fastidiosi e imbarazzanti.
Dedicò un anno a studiare la malattia che aveva caratterizzato
come “corea”, dal termine greco per “danza”, seguendo i neurologi che avevano
descritto quei sintomi in casi isolati, notando la propensione per la danza nei
pazienti che ne erano affetti[3]. George
Huntington lavorava come medico di medicina generale nella città di Pomeroy nell’Ohio,
ma la famiglia di pazienti di suo padre nella quale descrisse il disturbo
ipercinetico ereditario era come lui di Long Island.
A ventidue anni, il 13 aprile del 1872, pubblica On Chorea[4] un
articolo che aveva già letto come saggio davanti alla Meigs and
Mason Academy of Medicine at Middleport (Ohio)
il 15 di febbraio dello stesso anno. In questo documento di storia della
medicina, dopo aver fatto riferimento a due casi pubblicati da Romberg di
pazienti affetti da corea con l’interessamento dei muscoli della respirazione, dopo
aver attribuito a Flourens l’ipotesi della patogenesi cerebellare e aver citato
casistiche di corea di centinaia di casi o di più di mille (1029 di Watson),
specifica che la malattia da lui studiata è ereditaria. Attualmente, i casi
ereditari sono stimati nell’ordine del 90% del totale.
Qui di seguito si riporta un’introduzione alla
patologia della malattia di Huntington tratta da nostri precedenti articoli.
“Diane Richmond si esprimeva così: ‘La
malattia coreica, descritta come disturbo
ipercinetico ereditario per la prima volta nel 1872 in una famiglia di Long
Island da George Huntington, medico di Pomeroy nell’Ohio, è una grave patologia
neurodegenerativa ad andamento progressivo che attualmente riguarda, nelle varie
fasi della sua evoluzione, circa 30.000 persone nell’America del Nord.’[5].
La
malattia, che in circa il 90% dei casi è ereditata come un carattere mendeliano
autosomico dominante e nel rimanente 10% è originata de novo, è causata da disfunzione e degenerazione di neuroni dei
nuclei della base del telencefalo (gangli
basali) e poi di regioni corticali, con la conseguenza sintomatologica di
movimenti involontari come di danza (corea),
vari sintomi psichiatrici e, infine, demenza[6]. In particolare, è stata osservata
una precoce disfunzione e perdita di interneuroni inibitori GABAergici delle
formazioni dello striato, cui conseguono i segni e sintomi iniziali.
Fin
dall’inizio degli anni Ottanta, grazie a studi condotti da numerosi
ricercatori, che includevano Gusella e Tanzi[7], si è stabilito il collegamento
fra la malattia di Huntington e la ripetizione della tripletta nucleotidica CAG
nell’esone 1 del gene HTT codificante
l’huntingtina (htt) localizzata sul cromosoma 4q16. Tale rilievo include questo
grave disturbo coreico fra le patologie da ripetizione di triplette, o CAG-polyglutamine
(Poly-Q) repeat diseases, definite quali disturbi
neurodegenerativi ereditari causati dalla abnorme espansione di un tratto di
ripetizione della tripletta CAG, con la conseguente sintesi di una proteina con
un abnorme segmento poli-glutamminico. In generale, le malattie da triplette
sono caratterizzate dalla ripetizione di tre coppie di basi nucleotidiche, che
possono essere presenti sia in regioni codificanti che non codificanti, dando
luogo ad una moltitudine di differenti fenotipi ereditati, sia con modalità
legata al cromosoma X[8] che autosomica dominante e
recessiva. L’ereditarietà della malattia di Huntington familiare, come già
riportato, è autosomica dominante. Le malattie neurologiche da espansioni di
triplette ripetute, riconosciute e descritte dalla nosografia classica, sono 9:
la malattia di Huntington; l’atrofia muscolare spinale e bulbare (SBMA);
l’atrofia dentato-rubro-pallido-luysiana (DRPLA); sei forme di atassia
spinocerebellare (1, 2, 3, 6, 7 e 17). Tutte queste patologie presentano una
correlazione inversa fra il numero di ripetizioni e l’età di insorgenza,
risultante in un fenotipo patologico di gravità crescente quando la malattia è
trasmessa da una generazione all’altra, per effetto dell’accrescersi della
lunghezza di espansione della sequenza CAG dell’allele mutante: un fenomeno
chiamato anticipazione.
Se
da una parte è stabilito con certezza che la lunghezza del tratto di
ripetizione delle triplette nucleotidiche è strettamente correlata con l’età di
inizio della malattia, dall’altra solo circa il 50-70% della variazione
inter-individuale di età di insorgenza può essere spiegata col numero di
triplette. Si suppone pertanto un ruolo di altri fattori genetici e non
genetici nel determinare l’età di inizio della sintomatologia clinica.
Il
numero delle triplette è rilevante perché si realizzi l’alterazione
clinicamente manifesta: da 36 ripetizioni in su si sviluppa la terribile
patologia, anche se fra 36 e 39 sono descritti casi di penetranza incompleta.
In un grafico di distribuzione della lunghezza del tratto di ripetizioni in
pazienti affetti da malattia di Huntington, l’intervallo medio è fra 40 e 45,
ma lo spettro completo è molto ampio e si estende, come è noto da oltre vent’anni,
da 35 a 120[9].
L’huntingtina
è fisiologicamente localizzata nel citoplasma, ma può trasferirsi nel nucleo
dove sembra agire regolando la trascrizione genica; inoltre è stato documentato
un ruolo nel trasporto delle vescicole e nel traffico di RNA. Gli effetti
tossici dell’huntingtina mutata includono inibizione di proteasomi, chaperon e autofagia, con le possibili
conseguenze di accumulo di proteine ripiegate in maniera anomala o di interferenza
con la trascrizione genica. L’huntingtina mutata ha la tendenza ad andare
incontro a cambiamenti di conformazione, ad esempio formando anomale strutture
in β-configurazione (a “fogli pieghettati”).
Nel
cervello dei pazienti esaminato post
mortem, le caratteristiche cellulari consistono in grandi aggregati di
huntingtina nei neuroni, prevalentemente nel nucleo, ma anche a sede
citoplasmatica, nei dendriti e nei terminali assonici. Si ritiene che tali
aggregati non rappresentino di per sé l’elemento tossico, ma semplicemente
costituiscano un modo impiegato dalla cellula di disporre monomeri ed oligomeri
della proteina mutata che, in quella forma, risultano maggiormente citotossici[10].
Le
funzioni normali della htt, che è una proteina nucleocitoplasmatica presente
sia negli assoni che presso le sinapsi, prevedono spesso delle interazioni
proteina-proteina e includono la regolazione della segnalazione del calcio e
interventi nel trasporto assonico. Fra gli studi sulla fisiologia dell’htt
alcuni hanno dimostrato un ruolo in processi che possono controbilanciare
quelli che portano all’apoptosi. I risultati della ricerca alla base delle
conoscenze attuali sulla patologia molecolare della malattia di Huntington sono
invece difficili da sintetizzare, e costituiscono materia di trattazioni
specialistiche alle quali si rimanda il lettore[11]. Qui di seguito si riportano solo
alcuni spunti.
L’htt
mutata tende a formare aggregati che si rivelano resistenti alla proteolisi,
probabilmente per la formazione di legami crociati fra le sequenze poli-glutamminiche.
Altra caratteristica del polipeptide patologico è l’induzione di incremento di
espressione di fattori pro-apoptotici, quali la caspasi-1 e la caspasi-3
attivata. È stata anche dimostrata l’alterazione della funzione dei proteasomi
che può compromettere la regolazione trascrizionale ed associarsi a cambiamenti
di attivazione di varie proteine associate, quali la proteina associata
all’huntingtina 1 (HAP1) e le proteine interagenti con l’htt che, a loro volta,
possono interessare le vie di trasporto intracellulare, l’omeostasi del Ca2+
ed altri processi. Infine, nella patologia della malattia di Huntington, sono
stati rilevati disturbi del metabolismo energetico mitocondriale”[12].
Ritorniamo ora alla funzione in vivo e al
ruolo nella neurodegenerazione della malattia di Huntington di SUMO1 studiati
da Uri Nimrod Ramirez-Jarquin e colleghi in modelli murini della corea umana.
I ricercatori riportano che la delezione di SUMO1
nei topi knockout Q175DN HD-het knockin mice (topi HD) preveniva
lo sviluppo di deficit motori e neurologici simili a quelli della malattia di
Huntington e dipendenti dall’età, e sopprimeva l’atrofia dello striato murino (l’equivalente
del “corpo striato” dei nuclei della base umani) e la risposta infiammatoria.
La delezione di SUMO1 ha causato la drastica
riduzione dei livelli dell’huntingtina mutata solubile e delle inclusioni di huntingtina
mutata nucleari ed extracellulari, mentre ha accresciuto le inclusioni
citoplasmatiche nei neuroni dello striato dei topi HD. La delezione di SUMO1 ha
poi promosso l’attività autofagica, caratterizzata da accresciute interazioni
tra le inclusioni di mHtt e un marker lisosomiale (LAMP1), aumentate
interazioni tra LC3B- e LAMP1 nei neuroni spinosi medi DARPP-32-positivi dei
modelli murini della malattia.
La deplezione di SUMO1 in una cellula modello della
patologia di Huntington diminuiva i livelli di mHtt e accentuava il flusso autofagico.
L’inibitore della sumoilazione, acido ginkgolico,
fortemente rinforzava l’autofagia e diminuiva i livelli di mHTT nei fibroblasti
umani ottenuti da pazienti affetti dalla malattia.
Questi risultati, secondo gli autori dello studio,
indicano che SUMO possa essere un bersaglio terapeutico critico nel trattamento
della malattia, e che bloccare SUMO possa determinare un miglioramento
interferendo con la patogenesi attraverso la regolazione dell’attività
autofagica.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-05 febbraio
2022
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presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] La SBMA ha un’eredità legata al
cromosoma X, a differenza di tutte le altre otto che sono autosomiche
dominanti.
[2] Cristina Cariulo
e numerosi colleghi coordinati da Andrea Caricasole
hanno identificato una modificazione post-traduzione dell’huntingtina, consistente
nella fosforilazione del residuo T3 nella regione N17 della proteina, in grado
di indurre l’inversione delle alterazioni conformazionali dell’huntingtina
responsabili della malattia di Huntington, e di inibire le sue proprietà di
aggregazione in vitro (v. Note e Notizie 25-11-17 Una modifica
post-traduzionale fa sperare per la malattia di Huntington).
[3] Questa origine dell’uso del termine
“corea” è riportata da George Huntington stesso in On Chorea
e sembra fornire una ragionevole spiegazione, in quanto il sintomo coreico non
assomiglia affatto a un movimento di danza.
[4] George Huntington M. D., On Chorea. The Medical and Surgical
Reporter 26 (15): 317-321, April 13, 1872. (The Medical and
Surgical Reporter: A Weekly Journal published in Philadelphia by S. W. Butler).
L’articolo
è attualmente nel dominio pubblico e può essere reperito sul web dal titolo.
[5] Note e Notizie 22-10-11 Un marker
per la malattia di Huntington.
[6] L’età media di insorgenza è
intorno ai 40 anni, il decorso termina con esito infausto 15-20 anni dopo. La
prevalenza è molto più bassa di quella delle altre patologie neurodegenerative
causanti demenza ed è prossima a quella della SLA.
[7] Gusella J. F., et al. A
polymorphic DNA marker genetically linked to Huntington’s disease. Nature (5940): 234-238, 1983.
[8] È il caso dell’atrofia muscolare
spinale e bulbare (SBMA).
[9]
Gusella J. F. & McDonald M. E., Huntington’s
disease: CAG genetics expands neurobiology. Current
Opinion in Neurobiology 5 (5): 656-662, 1995.
[10]
Ross C. A. & Tabrizi S. J., Huntington’s disease: From molecular
pathogenesis to clinical treatment. Lancet Neurology 10 (1): 83-98, 2011. (Rassegna ancora valida delle implicazioni funzionali
dell’htt, anche se non aggiornata).
[11] Una buona introduzione si trova in
tre capitoli (41, 48 e 49) di Brady, Siegel, Albers e Price (editors), Basic Neurochemistry,
Elsevier AP, Waltham
(MA, USA), 2012.
[12] Note e Notizie 16-01-16 Nella
malattia di Huntington preclinica rilevato un deficit di inibizione. Si
veda anche: Note e Notizie 25-11-17 Una modifica post-traduzionale fa
sperare per la malattia di Huntington.